mercoledì 21 settembre 2011

E’ ora di andare…

Domani lascerò l’alpe, le caprette, la mungitura e la montagna e ricomincerò da dove ho lasciato..le capre sono quasi asciutte (non producono più latte), la maggior parte di loro sono già incinte, dopo la mia partenza verranno lasciate libere di scorazzare per la montagna per un mesetto, prima che arrivi il grande freddo e a quel punto saranno riportate in stalla.

Sono qui che traggo le mie considerazioni finali a proposito di quest’esperienza che è stata sicuramente indimenticabile: dopo le fatiche, la stanchezza, i momenti di sconforto, le risate, le camminate infinite, le torte di mele..

..ci sono delle cose che sicuramente mi mancheranno:

- Ron, quando infila il naso sotto al maglione perché vuole le coccole

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- Le mie amiche caplette, anche se a volte mi hanno fatto arrabbiare

- Astrid, così dispettosa e dolce e Maya, con i suoi divertenti errori di ortografia

- I progressi di Honey, che ha gattonato, messo i primi dentini e imparato a fare le pernacchie e “ciao ciao” in mia presenza

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- Le bevute tutti insieme, quando ci si rilassa

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- Le passeggiate in montagna, quelle senza l’ansia di trovare le capre

- Il formaggio d’alpe, la formaggella, i buscion e gli yogurt

- Le letture in capanna, lontano da tutti per un po’ (anche se sono durate poco..)

- I momenti per pensare mentre mungo

- Le risate innocenti

- Gli scherzi

- I lunghi momenti a guardare il comportamento delle capre

- I silenzi e gli spazi immensi

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- Il primo raggio di sole che colora tutto di rosso

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- I ruscelletti che ti dissetano quando hai bisogno di bere

- Lo scarico dell’alpe, che non riuscirò a vederlo, ma che sarebbe stata la giusta conclusione di questa esperienza..

- Tutta la troupe dell’alpe Grossalp, perché a parte gli scazzi e le litigate, siamo stati un bel gruppo!

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Non mi mancheranno:

- Le sclerate, i momenti di tensione e le litigate

- La pioggia

- La assoluta mancanza di privacy

- La fatica

- La mancanza di tempo libero

- I cani che scappano

- La puzza dei buscion maturi

- L’attesa, nella speranza di sentire un campanello sulla via del ritorno

- Le vipere, vive, morte, tutte!

Casando l’Alpe all’Alpe

Oggi entriamo in caseificio, il regno di Laura e Mao. A noi poveri mortali, portatori sani di germi, varcare quella soglia è pressoché sempre vietato.

Ma oggi, armati di macchina fotografica, abbiamo il permesso di entrare a curiosare.

Ecco come nasce l’Alpe, il formaggio di latte di mucca e capra che gode della DOP della Vallemaggia.

Viene casato in caldera di rame a latte crudo (la lavorazione prevede una temperatura massima di 42˚).

L’Alpe Grossalp si produce ogni due giorni, casando un quantitativo di circa 1000 litri di latte per volta.

Si ottiene mescolando latte di capra e di mucca, fino a un massimo di 30% di latte caprino, e questa è la particolarità del formaggio DOP Valmaggia.

Da una temperatura della caldaia di 11 ˚C si riscalda fino a raggiungere la temperatura di 32˚C; quando raggiunge i 25˚C si mette la cultura vegetativa che serve per una aggiunta batteriologica e si lascia agire per circa 20 minuti.

Quando è a 32 ˚C si aggiunge il caglio, che agisce per 30-45 minuti.

taglio della cagliata 1

Poi si taglia e si fa la spinatura fuori fuoco cioè si lascia girare nella caldaia a fuoco spento affinchè rilasci il siero. È pronto quando rovesciando il palmo della mano con il formaggio questo non cade. A quel punto viene riscaldato di 2˚C ogni 5 minuti fino a raggiungere i 42˚C.

Poi si spegne la caldaia e si fa la spinatura finale, lasciandolo girare dai 5 ai 20 minuti per far spurgare l’ultimo quantitativo di siero. È pronto quando lo arrotoli con le mani e si spezza in due. In bocca ha la consistenza del polistirolo.

A questo punto si tira fuori con l’archetto,

estrazione con arco 2

estrazione a mano 3

si lega la tela alla croce dell’argano

estrazione con argano 4

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e si estrae dalla caldaia. Poi si mette nel cassone dove viene pressato. Rimane a pressare fino a quando non sgocciola più, successivamente viene tagliato a blocchi e vengono messi nei cesti che danno la forma al formaggio.

prepressa 6

Sopra vengono posti i pesi. Durante la fase della pressatura vengono girati ogni due ore.

taglio dopo pressa 7

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La sera vengono apposte le fasce col nome (Vallemaggia Grossalp).

Dopo 12 ore viene spostato dal caseificio alla cantina, tirato fuori dai cesti e messo sugli assi. Rimangono 12 ore in cantina.

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A questo punto si mette il numero della casata (che cambia per ogni casata) e si mettono in salamoia per 12 ore.

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Dopo vengono tirati fuori e messi a maturare. Ogni giorno vengono puliti dalla muffa.

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All’Alpe Grossalp ogni giorno si fa la formaggella di mucca e il burro.

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Una volta a settimana invece facciamo i buscion, lo yogurt e la ricotta.

giovedì 15 settembre 2011

Le difficoltà della convivenza

Chiaro. Paese che vai, usanze che trovi. E se vai in un altro paese devi essere predisposto ad adattarti e disponibile a cambiare alcune delle tue abitudini. Improvvisamente l’orlo del letto non devi più piegarlo come hai sempre fatto o cominci a dormire su lenzuola di spugna che fino a quel momento hai utilizzato come coprimaterasso. È quello che succede anche qui, in Canton Ticino. Un posto in cui si parla italiano, infatti spesso dimentico di non essere in Italia, ma con una forte nota tedesca, soprattutto sulla cucina. E allora i sapori cambiano e vengono stravolti, l’olio d’oliva (che per me è un must) viene sostituito con il burro o con l’olio di semi, il basilico non viene apprezzato, i pomodori e l’insalata diventano pasti per caprette.

C’è chi dice che il lavoro dell’alpe sia duro, faticoso, malpagato, estenuante. Ma la cosa più difficile di tutte, quando si vive a 2000 m. di altezza, isolati dal mondo con gli animali come unica compagnia, è la convivenza. Ognuno ha il suo carattere, ognuno le sue abitudini, ognuno crede di avere ragione. E le stesse facce (i datori di lavoro, gli operai) te le ritrovi attorno 24 ore su 24, mentre lavori, mentre ti rilassi, mentre dormi (perché spesso gli spazi sono austeri), mentre sei in bagno e mentre hai voglia di startene un po’ per i fatti tuoi. E questi sono i momenti peggiori.

E allora, superata la prima fase di conoscenza in cui ognuno è predisposto a tollerare l’altro per conoscerlo meglio, scoppiano le liti. A volte furibonde. I motivi scatenanti sono sempre gli stessi: i cani che non sono stati legati, le galline che non sono state contate, le uova che non sono state raccolte. Motivi futili che diventano micce incendiarie, trampolini di invettive che scavano nelle settimane precedenti, malintesi e rispostacce.

È duro vivere all’alpe anche perché qui i ruoli si confondono. La convivenza crea dei meccanismi tali per cui si diventa tutti simili a prescindere dai ruoli, tutti indispensabili, tutti parte di una grande famiglia. Ognuno ha le sue mansioni, ben divise, basta far saltare un ingranaggio e la macchina si intoppa, rischiando di bloccarsi. In un ambiente così strutturato ognuno è indispensabile, con i suoi pregi e i suoi difetti, e credo che, in fondo, anche le litigate, se dapprima possono ferire e far male, servano comunque a crescere.

venerdì 9 settembre 2011

Un pomeriggio al pascolo

Da quindici giorni le capre sono impazzite. Per via del “calore” e delle continue visite che continuano a ricevere (anche oggi è arrivato un nuovo becco, di razza vallesana, nero e con delle bellissime corna arcuate).

Ogni giorno devo spendere dalle 4 alle 6 ore (quando va bene) per andare a cercarle e talvolta sono talmente in alto che non riesco a prenderle e devo lasciarle fuori. E la mattima successiva alle 6.30 ricomincia la camminata e la ricerca. E’ successo sia ieri che oggi e allora, su consiglio di Michele, ho deciso di seguirle nel loro pascolo.

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Eccomi qui, a pascolo con le capre.

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E’ interessante osservare le cose da un’altra prospettiva: quella delle capre. Quello che per me è un luogo di lavoro e fatica, per loro è un grande parco giorchi. Cercano, per pascolare, gli angoli più ameni, ombrosi, ricchi di cespugli. Posti che io non attraverserei mai perchè sono impervi.

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Si arrampicano sui larici, mangiano le cime dei piccoli pini, rimangono incastrate tra i rami e scompaiono tra i cespugli, si disperdono e poi, a impercettibili segnali, si riuniscono e si spostano un pò più in là.

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C’è sempre un gruppo che cammina e un altro che mangia, praticamente procedono a staffetta.

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Saltellano, si rincorrono, si scornano, giocano…

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Questo episodio del mio blog nasce così, da una esperienza di pascolo vagante, e raccoglie i pensieri che mi trasmettono oggi, e che scrivo mentre le osservo seduta in un prato, ma poi interrompo bruscamente quando decidono di andar via.

venerdì 2 settembre 2011

Un ospite speciale

La settimana scorsa le capre sono tornate a casa con un ospite. Un nuovo becco, in aggiunta al nostro. Non si sapeva da dove provenisse né a chi appartenesse. Schivo di carattere, nero di pelo e con due corna da paura.

Nel gregge la novità ha provocato un’incontenibile turbolenza. In questo periodo infatti le capre entrano in calore. E non parlo dei 40 gradi all’ombra dell’estate italiana, ma del periodo in cui sono feconde, hanno desiderio di accoppiarsi e di procreare. Insomma gli ormoni impazziscono e le conseguenze sono facilmente immaginabili.

I primi due giorni scorrono tranquilli, il becco nuovo litiga col nostro (che è un po’ meno macho), le caprette sono contente e tutti si accoppiano. Poca PEACE ma molto LOVE! Poi inizia l’inferno.

Sabato vado a prenderle ai Boccioni, 2,5 ore di cammino per andare su, scalando rocce e inerpicandomi su declivi molto scoscesi.

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Una paura incredibile, soprattutto quando ti rendi conto di essere immersa in una nuvola, sulla cresta di una montagna, a cavalcioni su una roccia, con una gamba in Svizzera e l’altra in Italia. Secondo giorno le trovo per caso mentre cerco il mio zainetto, scivolato giù da un roccione il giorno precedente (insieme alla mia macchinetta fotografica, ops!). Terzo giorno salgono sulla Croce, il punto più ripido e pericoloso delle montagne qui attorno.

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Le chiamo per ore, ma niente, sono tutte appollaiate sulla cresta, guardano in giù, belano ma niente, non si muovono.

Ieri siamo partiti con una task force speciale: io, Mao, Dumbo (il cagnolino del Mao) e poi ci ha raggiunti Michele. Mao è salito sulla Croce passando da Bann, io sono andata in Bocchetta, da dove, in teoria, sarebbero dovute scendere. Mi sono sgolata a chiamarle, dalle 16.00 alle 18.00. Niente. Si sentivano i rumori delle campanelle e potevo distinguere Bianchina che belava, l’altra che si grattava, due che litigavano. Ma niente. Nemmeno un passo. Mao è arrivato a 20 metri da loro e continuava a chiamarle anche lui senza risultato. Non poteva passare oltre, troppo pericoloso. Ma non c’è pericolo che tenga per Mao, allora dopo un po’, invece di arrendersi, è passato di là aiutandosi con una fune. E finalmente le capre hanno cominciato a scendere. Incubo finito!

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Ieri sera abbiamo finito di mungerle alle 21.30, e Michele e i ragazzi hanno catturato il becco nero e l’hanno portato via, cercando il proprietario per riconsegnarglielo al più presto. E già, perché secondo noi è lui che ha provocato con il suo spirito libero lo scompiglio nel mio gregge, visto che fino a poco tempo fa le mie caprette tornavano addirittura sole tutti i giorni, puntuali alle 15.15. E ora? Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni, per ora cerchiamo di convincerle a farle scendere in giù piuttosto che salire. Speriamo di riuscirci!

domenica 21 agosto 2011

Notte di luna piena…

Notte di luna piena. Respiro l’aria fresca e penso: speriamo che le capre non vengano influenzate dai suoi effetti, come l’ultima volta che siamo stati fuori fino alle 23.00 per riportarle a casa.

Le ultime parole famose.

Il giorno dopo, alle 15.30, qualcosa mi diceva che le capre non erano tornate e non sarebbero tornate. Guardo fuori: recinto vuoto. Solo una campanella a farci compagnia, ora che nemmeno le mucche vengono più munte all’alpe ma a Teil, quella di Tettonza, una capra bianca che ha una mammella enorme perché è sotto trattamento antibiotico. Delle altre nemmeno l’ombra.

Chiamo Ron, metto su gli scarponi, prendo il picchetto per i recinti che mi servirà da bastone per l’ascesa, binocolo e macchina fotografica: magari riesco a girare un bel video sul ritorno delle capre, penso.

Mi avvio verso una nuova avventura, al di là della montagna più alta e delle mie paure più radicate.

  Le capre sono sul piano sotto la cresta della croce, tutte affacciate alla dorsale, sembrano essere curiose di osservare il solito panorama da una prospettiva differente. Provo a chiamarle ma niente, si sporgono, mi guardano dall’alto, mi ignorano.

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Chiamo tre, quattro, cinque volte e intanto salgo, lungo il sentiero che porta a Bann, fino ad incrociare la dorsale. A quel punto lascio il sentiero e salgo sulla pendente, finalmente posso sentire lo scampanellio delle mie caprette. Appena avvertono la mia presenza o quella più minacciosa di Ron, si spostano in gruppo e si allontanano nella direzione opposta alla nostra. Sempre più in alto, ignorando allegramente i miei richiami.

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La dorsale si fa sempre più ripida, devo salire aiutandomi con le mani. A un certo punto mi vengono in mente i racconti di Laura e Michele su quella montagna: una ragazza caduta, un cane scivolato giù. Mi tremano le gambe, ho un attacco di panico, chiamo Michele per telefono e gli dico che ho le capre a due passi, non lascio perdere ora, continuo a salire ma poi per scendere pretendo l’elicottero!

Follia pura.

Dove termina il manto erboso inizia la parete rocciosa. Nuda. Scivolosa. Spigolosa. Le capre sono li, dietro un roccione, troppo alto da scalare, troppo sporgente per essere raggirato. Le sento belare, forse sono spaventate anche loro come me, e vogliono comunicarmi le loro ansie.

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Metto il piede su un sasso, in uno, due, tre rimbalzi copre i 500 metri di dislivello che mi separano dal piano e dal sentiero. Paura.

Non c’è niente da fare, le capre invece di avvicinarsi a me si spostano sempre più in là, camminando come equilibriste sulle rocce.

Mi arrendo, comincio a scendere, un passetto alla volta, scegliendo la strada meno irta, cercando di non guardare giù per non avere le vertigini, immersa nel biancore di una nuvola che avvolge me, le capre, Ron, la montagna, in un unico abbraccio.

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Scendo, piano piano, facendo molta attenzione, fino a quando sono a 10 metri dal sentiero, finalmente sono al sicuro penso, e bam…cado a terra. Risultato: un livido enorme, pantaloni rotti, un doloraccio e quattro risate; non si può mai pensare: è finita!

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Le capre sono state fuori tutta la notte. Sono tornate il giorno successivo, scendendo per l’altro fronte della montagna, meno ripido. Ne mancava una all’appello; Mao, che è andato a prenderle, ha detto di aver visto qualcosa precipitare mentre il gruppo scendeva.

Un giorno come tanti, qui in alpeggio.

giovedì 11 agosto 2011

Le strade delle capre

Le strade delle capre non finiscono mai.

Certe nascono un giorno e finiscono il giorno dopo.

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Quando le vedo partire di mattina mi emoziono sempre. Superano il recinto con passo incerto, insicuro, bramose di libertà eppure timorose di essere inseguite dal cane e ricondotte indietro.

Dapprima partono scomposte, si spingono e si strattonano. Poi, passata la paura, si rilassano e cominciano a camminare distanziandosi l’una dall’altra, in coppia e, nei tratti più angusti, in fila indiana.

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Chissà cosa pensano mentre vanno via, se hanno già programmato la destinazione durante la notte precedente o se sono le contingenze della giornata a spingerle ogni giorno verso una nuova meta: un cane, un’auto o un turista incontrato per la via e accompagnato per un po’.

Io inseguo il loro andare con lo sguardo, poi rincorro il tintinnio delle loro campanelle, fino a quando immagino di aver interpretato il percorso. Durante il corso della giornata, a intervalli più o meno regolari, controllo il loro girovagare, armata di concentrazione uditiva e binocolo.

Immancabilmente a un certo punto fanno perdere le loro tracce, perché sono troppo lontane anche per avvertire lo scampanellio, o pascolano dietro un avvallamento che ne confonde le tracce.

Per tutto il mese di giugno si intrattenevano nei pressi della Capanna Grossalp, giocando a nascondino tra gadunsci e stallette. Era facile localizzarle e andare a prenderle.

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Poi hanno cominciato ad allontanarsi sempre di più, Tell, Bocchetta, Boccioni..in 5 minuti sono capaci di spostarsi da una parte all’altra della montagna con una agilità incredibile, alla ricerca dell’erbetta più buona, anticipando anche le mucche.

Ma alle 15.30, quasi sempre puntuali, tornano a casa. Tutte. O quasi. E quando è “quasi” bisogna andare a cercare quelle che mancano, sempre le stesse.

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Tornano mentre faccio il riposino pomeridiano, e spesso il loro scampanellio mi sveglia e mi conforta, per oggi niente scarpinata impossibile. Allora corro a ringraziarle, con una buona manciata di sale e qualche coccola, che anche alle capre non fanno mai male!

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